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I trattamenti delle lesioni della cartilagine

Cenni storici

Il trattamento delle lesioni della cartilagine fino a 10 anni or sono era ritenuta un’impresa senza speranza. La scomparsa della cartilagine era una sentenza definitiva per l’articolazione con la condanna ad un trattamento sostitutivo con una protesi.

L’avvento delle biotecnologie anche in campo ortopedico ha radicalmente cambiato questa visione dando speranza ai tantissimi pazienti affetti da condropatia.

Dal 2006 la tecnica di rigenerazione della cartilagine ha permesso di trattare questi pazienti in maniera moderna ed efficace, con risultati clinici e strumentali molto buoni.

La svolta in questo campo è stata l’idea di sostituire al laboratorio, che fino ad allora si usava, un “produttore” più efficace e molto meno costoso: l’articolazione.

Infatti i primi tentativi di produrre una cartilagine da impiantare nel paziente si basavano sul prelievo di parti di cartilagine, in genere dal ginocchio, e sulla loro “coltivazione in laboratorio” su appositi substrati che vengono chiamati scaffold (impalcatura).

La neo-cartilagine prodotta aveva caratteristiche simili alla quella jalina normalmente presente nelle articolazioni.

I problemi storici

Purtroppo lo spessore ridotto e una capacità assai scarsa di integrarsi con l’osso subcondrale dopo l’innesto, hanno reso di risultati clinici assai deludenti. La percentuale di successi era inferiore al 40%, e con una tendenza a peggiorare nel tempo.

Inoltre il costo di questa operazione era assai elevato e il rischio più alto, dovendo il paziente subire due trattamenti chirurgici.

Con gli anni il numero dei pazienti trattati con la rigenerazione delle lesioni della cartilagine è cresciuto esponenzialmente, anche se i centri che usano con frequenza questa tecnica sono pochi e quindi c’è una elevata ”concentrazione” di pazienti.

L’esperienza dello scrivente infatti è molto ampia, oltre 2000 casi, che rappresenta, ad oggi, la più grande casistica al mondo in questa tecnica.

I risultati sono molto diversi rispetto alle tecniche precedenti e, se sono rispettate le indicazioni, la rigenerazione cartilaginea avviene in tutti i casi, con un successo del 100%: questo risultato, assai insolito in medicina, necessita quindi di una spiegazione. C

Come funziona il trattamento rigenerativo

La rigenerazione cartilaginea sfrutta la capacità di ricostruzione dei tessuti che è assai efficiente nel nostro corpo, e che necessita solo di essere correttamente guidata verso il risultato che vogliamo ottenere.

Funziona come la chiusura di una qualunque ferita della pelle o di un organo interno ed è un sistema molto ben funzionante in condizioni normali.

La tecnica incide sulla capacità rigenerativa solo “dirigendola” verso il tessuto desiderato grazie all’uso di scaffold particolari: questa traccia che si dà alla normale rigenerazione permette di ricostruire un tessuto cartilagineo efficiente e non un tessuto cicatriziale generico, come avverrebbe senza una tecnica chirurgica specifica.

Il 100% di successi si riferisce quindi solo alla ricostruzione della cartilagine e non ai risultati clinici, che si fissano intorno al 92% di ottimi risultati.

La spiegazione è che non sempre la sintomatologia del paziente è completamente da riferire alla condropatia ma esistono altri fattori in gioco.

Le alterazioni morfologiche articolari di natura ossea ad esempio non sono modificabili e possono influenzare il risultato così come i disturbi per-articolari, tendinei o legamentosi o, nel ginocchio, le patologie meniscali degenerative.

La variabilità individuale

Una domanda legittima potrebbe essere se esistono variazioni quantitative e qualitative fra paziente e paziente nella rigenerazione: certamente si, come in tutte le attività umane!

Il risultato di una rigenerazione è direttamente proporzionale al numero e alla efficienza delle cellule mesenchimali staminali, che sono le responsabili della crescita del neo-tessuto.

Queste cellule, che esistono in ogni tessuto, hanno moltissimi compiti e capacità, che vengono sfruttate dalle biotecnologie. Nel caso della rigenerazione le mesenchimali staminali vengono indotte a mutarsi in condroblasti e a produrre tessuto cartilagineo, che al termine della maturazione, è completamente identico alla cartilagine jalina normale. E’ stato “prodotto” nella stessa maniera e dalle stesse cellule, che lo fanno durante l’accrescimento!

Il fattore critico è il numero delle cellule che può variare ampiamente tra individuo e individuo, producendo una più o meno vivace risposta rigenerativa dopo i corretti stimoli. Per approfondire: https://www.albertosiclari.com/le-patologie/condropatie/

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copertina del nuovo libro

Le lesioni della cartilagine

E’ con grande piacere che segnalo la pubblicazione del mio secondo libro sul trattamento delle lesioni della cartilagine. Dopo il primo pubblicato qualche anno fa, arriva il secondo con ancora più esperienza e più dati.

La CIC Edizioni Internazionali, una delle più importanti case editrici mi ha richiesto di scrivere questo volume. La CIC pubblica libri scientifici di alto livello e con una magnifica grafica. E’ stato uno straordinario piacere collaborare con presone di altissima qualità umana e professionale!

Lo scopo di questo libro : divulgare la terapia delle lesioni della cartilagine

Ho avuto l’occasione quindi di divulgare la mia lunga esperienza in questo campo così poco praticato. I motivi di questa limitata attività sono evidenti. Le difficoltà tecniche e cliniche inducono molti a ritenere le lesioni della cartilagine di difficile soluzione. Questo libro spiega come si può rimediare a queste difficoltà. Tutte le difficoltà tecniche sono affrontate e chiarite nei minimi dettagli. Solo l’esperienza sul campo rende i risultati certi ma avere una solida conoscenza di tutti gli aspetti è indispensabile. Lo scopo di questo libro è dare la possibilità a chi vuole iniziare l’attività in questo campo di avere a disposizione tutte le nozioni indispensabili.

Il contenuto

In maniera chiara, anche se con linguaggio scientifico e rigoroso, sono illustrate tutte le parti di questo complesso problema.

Si parte dalla vita normale della cartilagine e alle cause dei suoi problemi e si arriva alle possibili soluzioni adattabili in ogni singolo caso. Sono illustrate tutte le tecniche chirurgiche adottabili per risolvere le lesioni della cartilagine, ma non solo.

Una parte importante tratta delle terapie non chirurgiche, con un ampio spazio alle più innovative, come le infiltrazioni di cellule mesenchimali da tessuto adiposo.

Questa soluzione infiltrativa che migliora i già buoni risultati del gel piastrinico è la vera novità degli ultimi anni.

Le lesioni della cartilagine hanno quindi numerose soluzioni, alcune di rapida e facile esecuzione. Non sempre la scelta giusta è un intervento chirurgico!

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I problemi rotulei 2

Dopo aver osservato il meccanismo con cui si creano i danni cartilaginei nei problemi rotulei, esaminiamo le patologie  principali:

1) La instabilità rotulea:

è caratterizzata dal basculamento verso l’esterno con iperlavoro della parte laterale; a volte l’instabilità è tale che, di solito a causa anche ad altri fattori contemporanei, l’osso esce in maniera acuta dalla sua sede verso l’esterno dando una lussazione rotulea.

Il basculamento è dato dalla mancanza di parallelismo tra la rotula e il femore su cui scorre: un poco come un areo inclinato verso un lato la cui ala piu’ bassa tocca il terreno: sicuramente un bel guaio!

La causa è l’inefficienza del legamento patello femorale mediale che essendo troppo molle non controlla a sufficienza il movimento.

In caso di lussazione acuta questo legamento, già poco efficiente si rompe e necessita di una riparazione chirurgica.

Il basculamento rotuleo

Raramente questo problema è causato da una eccessiva rigidezza del legamento 

patello-femorale esterno che provoca un basculamento abbassando il lato laterale della rotula.

2) Le anomalie di inserzione del legamento rotuleo

è una causa frequente ed è costituita da una inserzione troppo esterna del tendine rotuleo che si inserisce sul lato inferiore. Ad ogni movimento come una elastico la rotula si cerca di allineare sul punto dove si attacca il tendine spostandosi verso l’esterno urtando il femore che fa da stop, in questo caso particolarmente brusco.

3) L’iperpressione rotulea:

ne abbiamo già parlato, è come se una mano spingesse la rotula contro il femore durante tutto il movimento: la causa spesso è una rotula troppo “spessa” per le dimensioni del ginocchio.

4) Le alterazioni muscolari:

il grosso muscolo della coscia, il quadricipite che si attacca al lato superiore, è l’elemento attivo che agisce sulla rotula. In caso di insufficiente forza, in particolare della parte mediale chiamata vasto mediale obliquo, la rotula diventa instabile e tende a spostarsi verso l’esterno, comportandosi come quando i legamenti sono alterati.

5) Le alterazioni congenite maggiori:

sono principalmente anomalie congenite ossee del femore e raramente della rotula che portano ad una instabilità grave con frequenti episodi di lussazione; è a patologia più complessa e per fortuna la più rara.

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Le cellule mesenchimali staminali

Le cellule staminali mesenchimali sono i mattoni con cui il corpo ricostruisce le parti di osso , muscolo o tendine danneggiate.HMSC_MAP4GFP_H2BRFP

Dove sono?

 

Questo tipo di cellule è presente probabilmente in ogni tessuto ma il loro numero varia molto: nelle ossa lunghe come la tibia il numero è basso mentre nel bacino sono molto piu’ rappresentate.
Sono certamente presenti anche nel sangue anche se ancora non è chiaro se provengono dai tessuti o sono “ residenti “ fisse nel torrente circolatorio: il numero è basso ma pare che la loro potenzialità sia alta. L’ipotesi è che siano cellule “attivate” in risposta ad uno stimolo.
Anche se sembra strano il tessuto con la maggiore concentrazione di cellule staminali mesenchimali è il tessuto adiposo, che nasce ,al momento della formazione del feto, dalle stesse cellule primogenitrici delle ossa e dei muscoli.

Cosa possono fare?

Questo è l’argomento piu’ delicato: non possono in alcuna maniera e con nessun stimolo riprodurre tessuti che non siano ossa, cartilagine e si suppone anche muscolo, anche se non si hanno prove sperimentali.
Tutte gli altri tessuti sono provenienti da stirpi cellulari diverse per cui non possono essere ricostruiti, così come le cellule del sangue, che sono solo loro cugine.
Utilizzare queste cellule quindi è possibile solo in questo ambito, sia dal punto di vista scientifico che dal punto di vista legale.

Per cosa si usano ?

L’uso è antico, anche se inconsapevole. Da moltissimi anni in alcuni interventi si utilizzava del materiale osseo proveniente da altre parti per migliorare la capacità di guarigione di una lesione: empiricamente si era notato che l’osso migliore era quello proveniente dal bacino. Allora si pensava che l’innesto di questo materiale fosse un poco come mettere del cemento fresco , con una idea molto meccanica del materiale. In effetti si usavano le cellule staminali contenute nell’osso innestato, mentre la parte ossea, responsabile della meccanica, veniva rapidamente sciolta dal corpo.
Oggi abbiamo piu’ consapevolezza delle possibilità di queste cellule , per cui l’uso si è raffinato: non sempre si usano parti intere di osso ma si aspira il sangue all’interno delle ossa ( bacino,femore ) che si porta con sé le mesenchimali.
Le potenzialità sono molte anche se ancora non ben conosciute: per molti anni si è studiata la possibilità di utilizzarle e da non molto tempo l’utilizzo è standardizzato , e solo in alcuni campi.
In particolare la rigenerazione cartilaginea è stata la prima studiata ,per la frequenza di lesione della cartilagine: dal 2006 in certe situazioni l’arricchimento dello scaffold usato per la ricostruzione con sangue aspirato dall’osso ha permesso risultati prima non possibili.
Certamente non tutti possono beneficiare di questa tecnica,ad esempio oltre una certa età il numero delle cellule è così basso che non sono efficaci, ma spesso è possibile.

Come si usano ?

L’uso più frequente è durante gli interventi chirurgici di ricostruzione della cartilagine in aggiunta alle tecniche che utilizzano scaffold: questa tecnica , ormai piu’ che decennale , non è piu’ sperimentale da tempo, ma ormai consolidata.
Piu’ recente ma ugualmente consolidato è l’uso per via infiltrativa, in particolare con le cellule provenienti dal tessuto adiposo. La spinta rigenerativa e di potenziamento delle strutture articolari è un trattamento eccellente per le patologie non così gravi da richiedere un intervento chirurgico, sembra superiore anche a quella ottenuta con l’uso del PRP.

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La prevenzione dell’alluce valgo

L’alluce valgo è sicuramente la patologia più conosciuta del piede ed colpisce moltissime persone, prevalentemente donne, provocando dolore e disagio in particolare durante l’uso delle calzature.
La soluzione di questo problema è chirurgica e le tecniche più moderne recano al paziente ormai pochi disagi nel periodo post-operatorio.
Come in tutte le patologie il pensiero deve soffermarsi sulla possibile prevenzione, visto che come tutti sanno prevenire è meglio che curare.

E’ possibile prevenire l’alluce valgo?Si e no!

Innanzitutto bisogna considerare che alcuni pazienti hanno una forma di deformità di origine congenita, che veniva,, un poco impropriamente, chiamato alluce valgo giovanile: esiste una alterazione della forma delle ossa che costituiscono l’articolazione dell’alluce con il primo metatarso per cui inevitabilmente comparirà, in giovane età, il valgismo. In questi casi nessuna prevenzione è possibile. Piu’ raramente questa anomalia compare in seguito ad un importante trauma dell’avampiede con lesioni ossee o più frequentemente legamentose e tendinee: in questo caso lo squilibrio delle forze agenti sull’alluce provocano il valgismo. Anche qui la prevenzione non è possibile, a meno di evitare di farsi male…..
Tralasciando i rarissimi casi di anomalia da malattia neurologica, gli altri pazienti hanno un alluce valgo classico , detto dell’adulto, che compare ad un certo momento della loro vita.
Qui è possibile la prevenzione? Si e no! Il fatto che molte persone hanno l’esperienza di avere avuto la mamma o la nonna con lo stesso problema, ci fa capire che in certe situazioni esiste una predisposizione congenita dipendente dalla forma dell’avampiede che spesso conduce all’alluce valgo senza possibilità di prevenzione. Ad esempio un alluce molto lungo rispetto alle altre dita , il cosiddetto piede egizio, o la forma triangolare dell’avampiede , chiamato avampiede di Dudley Morton sono condizioni che portano quasi certamente all’alluce valgo.

Allora bisogna rassegnarsi?

Mai rassegnarsi, perché quel poco che si può fare di preventivo, puo’ ritardare la comparsa del problema o attenuarne i sintomi.
Per fare chiarezza sulle possibilità che ci sono per prevenire questa deformità, è necessario parlare dei divaricatori: ne esistono molti tipi, da uso notturno e diurno, in silicone ,in pelle, in materiali sintetici. Purtroppo mi attirerò le ire dei produttori dicendo che nessuno di questi è efficace. I divaricatori notturni sono presenti quando il piede è a riposo e quindi non sono efficaci nel momento in cui il piede lavora e l’alluce si valgizza. Quelli diurni sono oltremodo scomodi e non riescono a contenere l’alluce vista l’energia che si sviluppa nel cammino: immaginate che alla fine del passo , nella fase detta di spin off, tutto il peso del corpo è concentrato sull’alluce, peso che viene moltiplicato dall’energia cinetica che sviluppiamo durante il movimento! Alla fine centinaia di Kg agiscono su una superficie assai ridotta, per cui il divaricatore…sposta tutto verso l’esterno !

Che fare, allora?

La prima e più importante prevenzione è prestare attenzione alla calzatura: l’uso di scarpe con l’avampiede a punta è sicuramente controindicata: l’alluce è in equilibrio sul primo metatarso grazie ad un complesso gioco di tendini; mantenere a lungo una posiziona scorretta altera questo equilibrio e compare la deviazione. Teoricamente le scarpe non dovrebbero alterare la forma naturale del piede quindi la sensazione deve essere di assoluta comodità. L’uso del tacco di per sé non è una particolare controindicazione: il problema è che più si alza il tacco più il peso si concentra sull’avampiede, per cui se esistono dei problemi vengono ingigantiti. In assoluto la scarpa peggiore, che temo sia la più desiderata dalle donne, è quella con il tacco alto e la punta triangolare!La soletta non è particolarmente influente anche se, teoricamente, più è rigida meno lavora l’alluce.
In fine la ginnastica dei muscoli del piede, ad esempio afferrare una matita con le dita dei piedi può essere utile. Per i pochi fortunati che ci riescono( è una dote congenita)contrarre il muscolo mediale del piede per portare l’alluce verso l’interno è ancora più efficace.

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Gli integratori alimentari

La ricerca della soluzione piu’ semplice di un problema è una caratteristica umana  tablets-623706_1920ed è assai ambita, come ad esempio nei problemi matematici o nella ricerca di una strada con il navigatore. L’aspetto fondamentale è però che queste scorciatoie siano davvero una soluzione al problema e non servano solo a illuderci  senza trovare la risposta corretta. La possibilità di migliorare la condizione di una cartilagine rovinata solo con l’assunzione di un farmaco è sicuramente una scorciatoia molto appetibile per la sua semplicità; ma è davvero efficace?

Cosa sono gli integratori?

La ricerca di sostanze che siano in grado di rinforzare la cartilagine nasce con la scoperta delle molecole che la compongono: in particolare i glicosaminoglicani, la condroitina e l’acido jaluronico.
La scoperta che nelle articolazioni danneggiate sono in quantità ridotta a fatto pensare ad una somministrazione per aumentarne la presenza articolare.

Quali sono?

Gli integratori possono essere costituiti da una sostanza base o da una unione di più sostanze.
Le piu’ usate sono la glucosamina, la condroitina, l’acido jaluronico, MSM, il collagene oltre che a vari derivati di cartilagine animale (di squalo ad esempio).

Funzionano?

Per riassumere la risposta nella maniera più breve possibile si puo’ dire : assolutamente no!
Non esiste alcun evidenza scientifica che abbiano la minima efficacia. Gli studi seri che hanno testato diversi integratori hanno dimostrato un effetto identico (in un caso anche minore !) al placebo, ad una sostanza cioè che certamente non ha alcuna efficacia (di solito si usa lo zucchero)
Nessuna di queste sostanze è mai stata ritrovata nelle articolazioni aumentata dopo la somministrazione orale e il motivo è evidente: sono componenti normali del tessuto cartilagineo ma anche muscolare e fibroso; quindi ne introduciamo una discreta quantità mangiando la carne, per cui che bisogno c’è di integrare? Inoltre tutte queste sostanze sono digerite dallo stomaco e dall’intestino per essere assorbite per cui sono ridotte a elementi semplici che entrano in circolo come tutti gli altri nutrimenti che assumiamo.
In conclusione questa scorciatoia conduce ad un vicolo cieco, meglio cambiare strada!

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L’acido jaluronico

L’acido jaluronico è ormai molto conosciuto e viene applicato nei campi più svariati , dalla chirurgia estetica a quella ortopedica , dai farmaci ai prodotti di bellezza. Il suo uso come farmaco intra-articolare ha delle indicazioni precise che devono essere rispettate.

Che cosa è l’acido jaluronico ?

L’acido jaluronico è presente in quasi i tutti tessuti del corpo e                                              schermata-2016-11-05-alle-15-13-51                      chimicamente è un glicosaminoglicano , cioè una grossa molecola                                                                          formata da due zuccheri (l’acido glicuronico e la N-acetilglucosamina)                                                                  che si ripetono per molte volte in una lunga sequenza.
La sua caratteristica principale è la capacità di attrarre e trattenere
l’acqua e di riunirsi in gruppi con legami abbastanza tenaci.

Come agisce?

In ortopedia si utilizza sfruttando la sua capacità di trattenere l’acqua e di formare complessi che all’interno di una articolazione migliorano lo scorrimento delle superfici, funzionando un poco come un lubrificante.

A cosa serve?

La scoperta che nelle articolazioni artrosiche la composizione del liquido sinoviale era alterata rispetto al normale e che in particolare l’acido jaluronico è diminuito, ha indotto a cercare di ricreare un normale ambiente articolare utilizzando stesso acido jaluronico per via infiltrativa.
Un livello elevato di acido jaluronico migliora la funzionalità dell’articolazione poiché l’effetto di distribuzione del peso e di ammortizzazione del liquido articolare sinoviale è migliore.
Purtroppo l’acido iniettato se uguale a quello naturale va incontro ad un rapido processo di degradazione e scompare. Per diminuire questo problema sono stati inventate delle molecole di acido jaluronico molto più grandi per rallentarne il riassorbimento. Questi prodotti rimangono per più tempo nell’articolazione ma sono molto più costosi.
Qualunque sia il tipo iniettato gli effetti , diminuzione del dolore, sensazione di articolazione piu’ libera, sono transitori e non sono riscontrabili effettivi cambiamenti all’interno dell’articolazione.
L’uso quindi è sintomatico e con una prospettiva temporale relativameente breve.

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Il gel piastrinico (PRP)

Il gel piastrinico, conosciuto anche come PRP ( Plasma Ricco di Piastrine) non rappresenta più una novità nel campo delle terapie a disposizione per le patologie osteo-articolari: il numero di anni da cui è in uso permette di definire con certezza i settori di utilizzo dove la sua efficacia è certa.

Che cosa è il gel piastrinico?cattura

Il PRP si ottiene dal sangue del Paziente, estraendo le piastrine,  componenti normalmente presenti e concentrandole in piccole quantità di liquido,                                                  il cui utilizzo è semplice sia in sala operatoria che in ambulatorio.  Queste dosi possono essere congelate ed utilizzate entro un anno , o utilizzate fresche al momento della preparazione.

Come agisce?

L’azione del gel piastrinico è dovuto ad una caratteristica particolare delle piastrine: esse possono essere infatti definite infatti come dei magazzini circolanti, pieni di sostanze che il corpo utilizza al momento del bisogno. Ad esempio quando si forma una ferita di un vaso che trasporta il sangue, le piastrine presenti e circolanti liberano delle sostanze che danno inizio alla formazione del coagulo che arresta l’emorragia.
Le piastrine hanno centinaia di tipi diversi di sostanze attive al loro interno, e alcune di queste sono dei Fattori di Crescita: sostanze cioè che hanno la capacità di stimolare le cellule del corpo a riprodursi e di richiamare altre cellule dal sangue e dalle zone vicine.
Il PRP dunque serve a potenziare una normale riparazione di un tessuto danneggiato.

A cosa serve?

L’uso del PRP è frequente ma non sempre è utilizzato in maniera corretta, ingenerando speranze di risultati eccellenti con una semplice applicazione. Le condizioni in cui è certo che il PRP sia efficace sono:
1) Tendinopatie croniche , in particolare dove il tessuto presenta dei danni strutturali.
Tipico esempio è la tendinite cronica del Tendine di Achille, dove le fibre tendinee sono danneggiate e si riparano con difficoltà, portando ad un indebolimento della struttura a volte fino alla rottura per un trauma modesto. Il PRP potenziando la capacità di guarigione delle lesioni riporta il tendine ad avere una resistenza normale
2) Rigenerazione tissutale
Il campo di applicazione più comune è la rigenerazione cartilaginea, in cui durante un intervento chirurgico il gel migliora di molto la capacità spontanea di guarigione in collaborazione con le cellule staminali del paziente, i veri mattoni con cui si ricostruisce la cartilagine.
Piu’ raramente si utilizza per coadiuvare la ricrescita di osso, sempre durante un intervento chirurgico.
3) Rinforzo tissutale
L’uso delle infiltrazioni intra-articolari di PRP è divenuto abbastanza frequente e ha causato confusione sulle reali possibilità di avere risultati positivi.
Il gel piastrinico utilizzato come infiltrazione, non è in grado di far ricrescere la cartilagine come spesso si tende a pensare. Una zona senza cartilagine dopo una infiltrazione di PRP diventa…una zona senza cartilagine! Due sono gli usi corretti :A) condropatie di primo o secondo grado in cui
la cartilagine è presente , funziona meno bene di quella normale ma non esistono zone con assenza di tessuto. La funzione del gel in questo caso è di stimolare le cellule presenti nella cartilagine(che quindi deve esserci…) a tornare a produrre quelle sostanze che mantengono in buona salute ed in buona efficienza il tessuto cartilagineo. Qualunque sia la causa che produce un danno, alla fine il problema è dato dalla diminuzione di produzione di queste sostanze, che sono indispensabili, e che riappaiono dopo la terapia con PRP. B) In alcuni casi il PRP puo’ essere usato in situazioni difficili ma solo per sfruttare la sua azione anti infiammatoria e anti dolorifica, senza aver alcuna speranza di ottenere degli effetti rigenerativi. In questo caso si utilizza come fosse un farmaco la cui efficacia è temporanea.

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